Il mio con Elena, è stato uno di quegli incontri che raramente si fanno nella vita, speciale e unico, direi prezioso.

Non esiste la casualità nell’Arte, certi accadimenti hanno radici profonde, fili invisibili che si uniscono, si intrecciano e poi riprendono il loro percorso.

I nostri fili, il mio e di Elena, dall’autunno 2010 sono stati uniti e intrecciati da una parte da Sibilla Pierallini, una delle due figlie di Elena e dall’altra parte dalla critica e storica dell’arte Fiorella Nicosia, mia cara amica.

Da allora, Elena mi ha presa per mano permettendomi di entrare nel suo mondo. Ho viaggiato e visto, attraverso i suoi occhi, immagini di luoghi e di persone. Ho assaporato, dai suoi racconti, sensazioni e odori intrisi dal gusto della scoperta, una fame di curiosità e conoscenza che mai si sazia. Ho camminato tra i suoi fili, tra le sue foto, tra le architetture dei suoi “Libri in piedi”, un bosco magico dal quale non si vorrebbe mai uscire, un mondo in movimento, finestre che si aprono in più direzioni, la natura che scorre sotto i piedi.

Elena è movimento, è energia, è creatività…

Dall’estate 2012 la voglia di raccontare e raccontarsi di Elena inizia a prendere forma, la forma di un libro e il contenuto di 39 domande che le ho posto, le sue risposte, le sue foto, le sue opere e i suoi documenti come testimonianza di una donna artista che continua ad indagare, stupirsi, cercare…

Manuela Mancioppi durante la performance Creabito al Giardino dell’Orticoltura a Firenze, 2013. Foto ESP.

Fiorella Nicosia

Fiorella e Davide indossano il maglione relazionale di Manuela Mancioppi, 2014,
durante Temporary Relationships, presso SACI Gallery a Firenze. Foto Manuela Mancioppi.

Primo contatto tra Elena e Manuela

La mia amicizia con Elena, altrimenti detta ESP, è piuttosto recente e dovuta alla vita che “è tutta un intreccio”, per citare una sua frase, già ripresa nell’intervista di Manuela Mancioppi in questo particolare libro, originale e coraggioso, cui sono onorata di partecipare. Mi è sembrata fin dall’inizio un’occasione unica, seppure non prevista, quella di far incontrare queste due artiste, Elena e Manuela appunto, di due generazioni diverse ma con due sguardi sul mondo e sull’arte che per molti aspetti convergono, soprattutto in quell’innocenza e purezza che caratterizzano entrambe, così come la caparbietà, la curiosità, la ricerca e la libertà della fantasia. Frequentando spesso e scrivendo talvolta sugli artisti, mi sono scoperta avida di questo spirito dell’arte pura, come di un nutrimento primario, forse una mancanza che viene colmata nella vicinanza con quel particolare sguardo sul mondo e sulla vita, quell’osservare l’interno delle cose, o semplicemente quei dettagli fondamentali che i più ignorano e che senz’altro appartengono ad una dimensione più profonda e altra che solo gli artisti veri riescono a cogliere.

Piuttosto recente, dicevo, la conoscenza di ESP e del suo mondo fatto di mille sfumature cromatiche e di forme, di tante parole sottili, cordiali e profonde, di tanti pensieri e racconti espressi o a volte soltanto “illustrati” per analogia nel suo archivio personale di immagini.

Sono riuscita forse soltanto a intuire la ricchezza di stimoli e di emozioni all’interno della sua casa studio eppure ne sono rimasta affascinata, come davanti ad un atlante di immagini, in una sorta di viaggio nel tempo e nello spazio alla ricerca di corrispondenze tra elementi a volte anche molto eterogenei e non subito facili da decifrare. Molti hanno scritto sulle opere di ESP, sui ricami, sui “Libri in piedi” o sulle sue serie fotografiche.

Difficile però è ignorare tutti gli altri gesti o momenti creativi che fanno parte strettamente della sua vita, come l’amore per i fiori e per la natura, le sue immagini readymade e le istantanee scattate durante i suoi numerosi viaggi o residenze all’estero, illustrazioni prese da libri e enciclopedie; disegni, progetti, collage ma anche le passeggiate invernali sulle spiagge con Pierangelo, la raccolta di citazioni, di frasi da trattenere e di letture da conservare. Così addentrandosi in questo mondo così privato ma anche legato alla storia collettiva ho incontrato ancora le sue agende dipinte e incollate, gonfie di immagini e parole, come se respirassero, le sue Visite di foglie, coltivazioni di foglie secche, frutti, sassi e nature morte, come dei tableau vivant per dipinti barocchi, ma più propriamente tavoli “preparati” per la coltivazione della polvere e l’osservazione della luce. Poi alla fine gli scatti fotografici alla ricerca di quella sfumatura di colore o di quella traccia d’ombra che renderà quell’immagine unica rispetto ad un’altra.

Non si trovano parole critiche o di solo commento artistico per un tale lavoro così connesso con la vita, intriso di esistenza, di memoria e di autenticità. Proprio questa complessità e connessione con diverse dimensioni questo libro vuol restituire, partendo dalla affascinante dimensione dell’intervista che – come dice Hans Ulrich Obrist il curatore peripatetico o migrante, come è stato definito – “rappresenta la mia scuola personale, una fonte inesauribile d’informazioni da comunicare al mondo”. In questo senso l’intervista da parte di un’altra artista notevole e originale come Manuela Mancioppi non può che essere da ulteriore stimolo e da reciproco “scambio di informazioni” che riguardano la propria vita ma anche l’arte nel suo senso più universale e utile per il mondo, appunto.

La restante parte del libro riesce, forse, solo in parte con testi e immagini, a rappresentare quella particolarità di una vita intera spesa all’insegna della coerenza con un’idea di libertà dell’arte e del pensiero e di lontananza dalle convenzioni e dai generi artistici tradizionali.

Forse questa complessità è giusto che rimanga un’utopia, come il Palazzo Enciclopedico di Marino Auriti, il sogno di una conoscenza universale e totalizzante che attraversa la storia dell’arte e dell’umanità, un’immagine del mondo che vorrebbe sintetizzarne l’infinita varietà e ricchezza.

Lara-Vinca Masini

Lara-Vinca a Forte dei Marmi
Lara-Vinca Masini a Forte dei Marmi, 1947

Elena Salvini Pierallini sta realizzando un nuovo libro? Ne ha realizzati di già tanti, da quelli basati sull’uso del filo, a quello sulle donne afgane (Quel fagotto sono anch’io), ai tanti “Libri in piedi”: libri, libri assieme ai suoi tanti lavori, sempre estremamente impegnati, che hanno segnato lo scorrere continuo della sua vita nell’arte, dagli splendidi ricami ispirati alla iconografia medievale riguardante la terra e il rapporto dell’uomo con il cambio delle stagioni.

La superficie in organza formava come un velo sottile d’aria e di luce, ai suoi quadri, sempre un po’ fuori dalle regole correnti (regole che Elena conosce benissimo, ma elude intenzionalmente), frequentatrice com’è sempre stata, assieme al marito Pierangelo, dei più importanti musei d’arte moderna e contemporanea di quasi tutto il mondo…

Ma questo che sta realizzando ora non è “un libro”; direi che è “il libro” della sua vita, del suo essere artista ma contemporaneamente moglie, madre di due splendide figlie, ora bravissime e affermate professioniste, anch’esse a loro volta mogli e madri; il libro del suo amore per la natura tutta, in ogni suo particolare, dall’amore per gli animali a quello della terra, delle piante, fino a quello di quel genere di natura che fa parte della vita quotidiana, dalla bellezza di un albero a quella di una foglia caduta, di un sasso, che Elena incontra nelle sue lunghe passeggiate, fino a quella che sta sui tavoli della cucina, la cipolla ad esempio, dalle mille sottilissime membrane che l’avvolgono fino al cuore segreto…

È inoltre, questo, il libro delle sue fotografie, solo in minima parte di quelle che lei e Pierangelo scattano, quasi in gara, durante i viaggi e la continua frequentazione di boschi, spiagge, colli sconnessi e pietrosi…

Insomma questo libro è il suo ritratto, in tutto e per tutto; la sua memoria, il segno delle sue fatiche, delle sue passioni, delle sue vittorie, della sua esperienza, dei suoi rapporti d’amore e d’amicizia.

Non credo si possa desiderare di più…

Penso che meriti un ringraziamento da tutti, anche per il futuro.

Per Elena con il mio affetto e la mia stima.

Lara-V. M.

Giovanna Giusti

Passopasso da Bilbao a Valencia pensando a ESP

Il viaggio, prima di tutto; il viaggio dell’esperienza, della conoscenza, alla scoperta del nuovo, delle intimità della natura, alla ricerca di sé. Carica di entusiasmi, libera della zavorra dei condizionamenti, Elena si dispone alla scoperta e la sua energia diventa contagiosa. Da sempre. Le Parole sui passi, articolate in ordine sparso, raccolgono questo e molto altro: anche la condivisione del passo con Pierangelo, con le figlie e i nipoti, con gli amici, come a me è occorso per piacevole avventura, andando per boschi o per sassi in riva al mare.

Parlerei di convisioni in due prospettive: l’una della ricerca, solitaria oppure condivisa, l’altra della restituzione, quando la materia sedimentata, riempita di uno sguardo intelligente, viene disposta attentamente e assemblata, ricucita in storie diacroniche. Diventano, per ESP, la creazione, zigzagante, forgiata dal linguaggio dei segni che rivelano allora, sottilmente, quel piacere assaporato al momento dello scatto fotografico, fulmineo o nell’attesa paziente di evoluzioni che segnano il tempo della natura e dell’umanità.

La curiosità le è propria; il passo da segugio, un passo disobbediente, l’aiuta a lasciarsi sorprendere, proprio perché si dispone alla conquista, a farsi catturare.

Controcorrente le viene naturale raccogliere la libertà delle forme, anche quelle indisciplinate o consunte. Svirgolando, ESP raddrizza pensieri, che giocano a intrappolare storie, ritessendo racconti rimescolati, da proteggere, alla stregua di ragnetti filanti, alle cui tele dona nuova vita, ritagliando e accostando, seguendo gradevoli regole cromatiche, accompagnate dalle note scritte che affollano le sue agende dinamiche: e tante sono le riflessioni sull’arte, che marcano la cultura umanistica di ESP, ostinatamente aggiornata sul contemporaneo, spesso preoccupata di sorti avverse ai valori della civiltà o della donna, con attenzione vigile al sociale.

Così l’avverto come “artista in prima linea”, dove coraggio e sapere si fondono perché capace di intuire e agire.

La sua arte ce la racconta.

Collezionando storie di foglie, di rammendi, di sughere in crescita lenta, di cipolle sfogliate, ci viene partecipato anche il sorriso dell’artista capace di metamorfosi di contenuti e forme, divertita a scompaginare letture e appunti, oppure pubblicità irriverenti che vengono capovolte o raddrizzate secondo i codici da esplicitare.

Un Sole e una Luna, diafane apparenze sostanziate di legni consunti carezzati dal logorio dell’onda, stanno sospesi nella casa delle raccolte, insieme ad una corazza di vetri smerigli, lasciati a farsi lambire dalla luce o dall’aria che circola positiva intorno.

Ricucendo strappi, studiando il trascorrere del tempo e assecondando la natura mutevole, ESP imposta il suo indirizzo artistico, coerente e limpido, ma sempre rinnovato.

Disponendo della saldezza del “suo” segno d’artista senza compromesso, reinventato nel divertimento di rintracciar sentieri perduti, nel raccogliere memorie fresche come in questo testo, ESP procede per scelte, senza compromesso. Ribelle positiva, sa guardare nell’assurdo l’ampiezza del possibile. Interrogata da Manuela Mancioppi, affidandosi alla comune passione per l’arte e per la vita, risponde con la chiarezza che è propria a chi ha percorso strade interessanti e diverse, con convinzione.

E Bilbao? E Valencia?

Un viaggio recente, reso vivace dalla conoscenza della distinta personalità delle città spagnole, mi ha fatto rivivere l’entusiasmo di ESP, contagioso, quando aveva scoperto, ancora fresco del nuovo, il Guggenheim di Bilbao e la mia visita, ora, era carica di quegli apprezzati commenti di Elena e Pierangelo, accorsi a godere del coraggio della città basca. Ecco finalmente le linee dinamiche e sconvolte della struttura architettonica del museo, la lucentezza rovente delle superfici, che trovano consonanza perfetta, tra esterno e interno, con gli studi spaziali di Richard Serra, che nella monumentalità di lamine avvolgenti ha costruito una dimensione cosmica nel rapporto attivo con il visitatore in transito all’interno. Passopasso si consuma la certezza e si scopre la mutevolezza delle prospettive, lo spazio finito, quello che avvolge l’anima e il pensiero, quello che illude, quello che sconcerta.

Ancora ESP nei ricordi a Malaga, al museo Picasso, lindo di ordine architettonico e di invenzioni assolute, dove le “colonne d’Ercole” dell’arte sono oltrepassate. Ospitava anche una mostra dedicata a Louise Bourgeois, dove ragni, monoliti, quadruplici ritratti ricuciti, memorie sofferte, davano voce alla grande artista americana. Ho pensato che a Elena sarebbe piaciuto molto vedere quelle opere e in qualche modo abbiamo mentalmente condiviso la visita. Infine Valencia, la città dove le linee dinamiche delle architetture di Calatrava si sposano con la natura intrappolata e restituiscono la vivacità di quanti le vivono, rispondendo all’indirizzo aggregante dell’arte sociale.

Corde tese, fili dell’immaginazione si incontrano, come nelle opere di ESP.

Giovanna Giusti con le “soft sculpture” di Marlène Mangold. Foto ESP.

Passare, attraversare il mondo della natura, e non captare il suo segreto; è ciò che avviene in questa epoca di frettoloso consumismo del tempo e dello spazio, di questa corsa verso l’affermazione dell’io a scapito dell’interesse per l’altro, distratti dai mille impegni della vita quotidiana che ci impediscono di volgere lo sguardo alle piccole cose, alla rinascita delle foglie sugli alberi in primavera lungo i viali che percorriamo, o al rifiorire delle aiuole intorno alla rotonda dove siamo soliti circolare. Un’artista americana, Georgia O’Keeffe aveva detto che i suoi fiori giganti erano dipinti per costringere i frettolosi newyorchesi a fermarsi e godere la magia del fiore: Elena Salvini Pierallini con i suoi tappeti di foglie fermati da uno scatto ci invita a non calpestare la natura con l’indifferenza, ma a coglierne il fascino segreto. Il destino è nel nome: ESP non è solo la sigla dell’artista ma è anche il simbolo del suo “esplorare” la natura nei minimi dettagli e la macchina fotografica non fa che indagare sulla vita dei singoli oggetti che rendono la sua casa “una miniera” e le stanze dei “pozzi senza fondo” che raccolgono i reperti rubati al bosco, alle rocce, al prato, al mare.

Marilena Mosco al Museo degli Argenti di Palazzo Pitti. Foto ESP.

Bisogna andare a casa di ESP per capire la sua arte, per penetrare nei meandri della testa di questa ape regina che lavora senza fine nell’alveare composto da una rete infinita di segni, di simboli, di fili che si intrecciano lungo percorsi fitti di ricordi, oggetti insi- gnificanti per chi non sa soffermarsi a comprenderne la intima essenza. “L’essenziale è invisibile agli occhi” scriveva Saint-Exupéry e a casa di ESP ci si rende conto che solo lei riesce a cogliere l’es- senziale che a noi sfugge. Ha cominciato con il ricamo affondando il suo ago nell’organza, come la spada nella roccia, una roccia delicata e trasparente, avvolta nell’aura di un Medioevo studiato sui libri, sugli affreschi, sui capitelli romanici e nei “Libri d’Ore”; se nel ricamo ESP toccava i temi centrati sull’uomo e le sue attività archetipiche legate al ritmo del tempo e delle stagioni e al profondo nesso tra Uomo e Natura, con la fotografia alla quale si è dedicata dagli anni Novanta, ha scelto la Natura come suo prediletto obiettivo usando come mezzo espressivo l’occhio della macchina da presa in sintonia col trascorrere del tempo e l’allargarsi degli orizzonti artistici. Tra le artiste che hanno espresso il loro essere donne nella creatività affidando l’invenzione alla magia del tessile, come Maria Lai in Sardegna, Elena si è distinta per la scoperta di un altro tessuto originale, un tappeto di foglie che nella loro fragilità e molteplicità di forme e colori hanno stimolato la sua attenzione.

Prima un collage di foglie sul fondo cartaceo con l’attenzione a non attentare alla loro fragile vita, poi uno scatto per fissare la luce che ne valorizza le nuances, le nervature, i sottili gambi che le rendono palpitanti alla luce del sole. Tanti sono i “Libri in piedi”, da lei ideati per farli leggere da destra a sinistra al pubblico distratto: Fili e Foglie, Sete, leggere trame, Alberi Nubi, tutti caratterizzati dai fili che a detta dell’autrice “non sono che i pensieri, le memorie che si presentano e sprofondano, attraggono lo sguardo e lo guidano su e giù, come quando la luce sembra una linea retta che viene da una finestra semichiusa”. È lei, la ESP, la migliore critica della sua opera, è lei che esprime nella sua arte, la curiosità della bambina irrequieta già a 11 anni munita della sua macchinetta fotografica, sempre alla ricerca di qualcosa da scoprire col suo spirito nomade, che da grande l’ha indotta ad esplorare i diversi paesi europei ed extraeuropei con l’ansia di nuove esperienze e nuove avventure dello spirito, uno spirito libero e amante del rischio nel cimentarsi con il mondo aspro e impervio dell’arte. “Una fame che alimenta il cervello” lei dice, non tanto alle ricerca della fama, ma dell’ascolto di chi riesce a captare la vita segreta delle piccole cose, lo spirito nascosto nelle radici degli alberi, nella linfa delle foglie, nei meandri delle conchiglie, o la bellezza delle rocce e dei sassi, di quella natura che non è morta ma viva, “still Leben”.

Vita e arte sono tutt’uno per ESP e la sua unione con Pierangelo è sul filo di un amore intenso e profondo per la natura, lei più curiosa e ondivaga, lui più riflessivo e costante; una coppia che alterna complicità e competizione e che invita a credere che l’arte vale la vita e la vita si vive meglio con l’arte.

Gianni Caverni

Ma potrebbe essere anche “La signora delle cipolle”, o “delle foglie”, o “del filo e dello spago” o “dei sassi”, o “dei bastoni di mare”, o “di chissà quante cose”. Sotto gli occhi amorevoli e fosforescenti di Piero, il marito, ESP, ossia Elena Salvini Pierallini, si muove leggera nelle tante stanze della loro casa curiosa come leggera si è mossa fra le curve di una vita intensa e complicata (“praticamente mi avevano data per morta, ma…”). È bellissimo sentirla parlare con quella sua vocina flebile, che nasce da un aggeggio che deve portare intorno al collo, passare agilmente di palo in frasca, cedere deliziosamente arrendevole agli stimoli e agli “a proposito” che si affollano nell’appartamento di Via Masaccio, a Firenze. Non so che voce potesse avere ESP prima di trovarsi a parlare grazie all’aggeggio sul collo, e in tutta franchezza nemmeno me ne importa: non la conoscevo e mi stavo perdendo qualcosa di importante. Salta di palo in frasca, dicevo, mai finendo completamente di raccontare qualcosa e invece partendo con un entusiasmo ancora infantile in un nuovo racconto ancora più inaspettato e che rimarrà sospeso a sua volta. Chi dovesse pensare che mi sono venuto a trovare davanti ad una cara signora simpaticamente rimbambita sbaglierebbe di grosso: cara lo è senz’altro perché fin dal primo momento veste le sue parole di affetto e curiosità verso tutti, signora lo è certamente per motivi anagrafici ma personalmente non ho mai conosciuto nessuno così meravigliosamente e pervicacemente “bambino”, capace di entusiasmi cristallini e di risate tenere, di assenze di paure e di infinita progettualità, capace soprattutto di continuare a vivere senza farsi in fondo davvero sfiorare dalla mortalità, propria, degli altri, delle cose. Signora lo è anche per la signorile naturalezza che vediamo nelle sue infinite foto che la ritraggono ad ogni età. Simpatica davvero tanto.

Ma rimbambita proprio no, è davvero una bestemmia: i suoi racconti

hanno un filo infrangibile che offre una logica che non è data dal singolo episodio narrato ma dal narrare stesso che, appassionatamente, è più un rivivere. Si resta sì all’inizio confusi, si cerca di collocarsi nel labirinto degli anni, dei luoghi, delle persone, di rintracciare una cronologia, una mappa, un albero genealogico, ma piano piano finalmente ci si arrende e si arriva così a intuire che per capire davvero chi è Elena l’ultima cosa che serve è la rigida gabbia di un “quando”, di un “dove”, di un “chi”.

Il fatto è che ESP è proprio un’artista, lo è tutti i giorni e per tutto il giorno, e lo è con una tale naturalezza che non c’è niente da fare, solo abbandonarsi al suo racconto e goderselo.

“Ma le hai viste le cipolle? – mi chiede, e mi sento un po’ scemo che le rispondo – Sí, guarda belle!” e prende da uno dei tanti vassoi che ha per la casa una cosa che sembra un fiore essiccato. Capisco subito che non le avevo mica mai viste le cipolle, o almeno non le avevo mai viste con i suoi occhi. È una piccola cipolla contorta e secca che si è aperta, il cui colore rosso scuro vivo si è trasformato in un caldo marrone autunnale a cui si unisce un chiaro color opalina che sa di Liberty. E in fondo qual è il compito dell’artista se non mostrarti quello che vede e fartelo riconoscere come tuo?

Di foglie, di tutte le forme e colori, ne ha piena la casa, fissate con fili su pannelli, sulle pagine di volumi (i miei diari, dice) zeppi e infiniti che formano pile sui mobili e tavoli, in grandi vassoi di legno o metallo, in piatti, su stoffe variopinte, in migliaia di foto scattate senza risparmiarsi, ovunque. E con le foglie i sassi, consumati, smussati dalle onde o dalle correnti, dilavati fino all’estremo da acque di ogni dove. Il filo e lo spago hanno un così evidente valore simbolico e metaforico da rendere superfluo scendere in particolari. E col filo colorato, da ricamo, si è svolta gran parte della carriera artistica di Elena che, ben prima che diventasse il cucire ed il ricamare una molto condivisa modalità di espressione artistica, realizzava le sue storie e metteva in ordine a modo suo il mondo con una pazienza davvero infinita e con ancora più infinita voglia di raccontare e raccontarsi; quella della ricamatrice, certamente per l’artigiana ma ancora di più per l’artista, è un’attività che richiede una così estrema capacità di concentrazione da somigliare assai ad uno stato ipnotico nel quale il tempo ha un valore indispensabile e, soprattutto, può, direi deve, dilatarsi quasi all’infinito. In questo affascinante stato di solitudine creativa e piena, in questa meravigliosa mancanza di fretta e di calcolo il lavoro del ricamare mi sembra che somigli molto all’attività dell’incisore che si addentra nel labirinto dei segni che traccia sulla sua lastra. Non mi viene in mente nessun’altra attività che possa essere così vicina alla pratica zen.

Ma i fili e lo spago ad Elena servono anche ad unire, accoppiare, stratificare. Non che non usi la colla ma “cucire” foglie, fotografie, stoffe, carte ecc. è più leggero, delicato, rispettoso e rappresenta alla perfezione l’essenza umana ed artistica di ESP.

Praticamente tutto il lavoro di Elena Salvini Pierallini è continuamente in divenire, niente è davvero finito: se a partire dai cubisti l’arte si è voluta misurare in vari modi con la dimensione del tempo la signora della polvere (che non c’è) ha trovato una sua originalissima formula per affrontare l’argomento. Le foto, le foglie, le carte, le stoffe ed il filo che sono serviti per realizzare i suoi “Libri in piedi”, per esempio, vengono a loro volta rifotografati per ritornare così in un attimo ad essere a loro volta materiali da usare per realizzare insieme a molte altre cose altre nuove opere, magari dei nuovi “Libri in piedi” e partecipare nei fatti e non solo nella metafora allo scandire della vita e al succedersi delle generazioni.

La definizione di “soprammobile” chiarisce bene la gerarchia che ne sta alla base: il mobile è più importante, il soprammobile è l’appendice. A casa di Elena e Piero le cose sono invertite e i mobili dovrebbero chiamarsi “sottoggetti”. “Una volta venne a vedere la casa la signora che doveva aiutarmi a tenerla pulita – mi racconta –. Rimase abbastanza colpita da tutte le cose che ci sono, le mie infinite collezioni di tutto. Un po’ in imbarazzo azzardò un “devo togliere la polvere?”. “No per carità” le dissi, “ho problemi respiratori e sono allergica alla polvere, se cerca di toglierla si alza e sto male”. Quindi Elena non la toglie né lo fa la donna. Incuriosito mi dedico ad osservare gli infiniti oggetti che coprono ogni scaffale ed ogni piano della casa, e scopro con sorpresa che la polvere non c’è: non so perché, non capisco a quale strano “miracolo” io stia assistendo, ma è così.

Lei dice che forse stando molto in casa e passando spesso fra le stanze si crea un leggero spostamento d’aria che fa volare a piccole dosi la polvere ma francamente questa spiegazione mi sembra più strana della stessa assenza di polvere. ESP è amica della polvere, anzi è la sua “Signora e Padrona”, non riesco a trovare altra spiegazione. Il buon Marcel Duchamp non avrebbe mai potuto realizzare il suo “Allevamento di polvere” se avesse convissuto con Elena!

Mi sono convinto dopo pochi minuti di visita alla casa di Via Masaccio che tutto l’appartamento dovesse essere visto anche come una colossale installazione sempre in movimento, come un’unica grande opera nella quale aggirarsi con spirito stupefatto ed ammirato. Tutto vero, ma a pensarci bene è riduttivo: la verità è che è tutta la vita di Elena Salvini Pierallini ad essere una grandiosa, infinita, bellissima performance!

Gianni Caverni a La Barbagianna. Foto ESP.