Mia madre Leonella Casini, mio padre e i miei fratelli con alcune allieve di ricamo negli anni 1925-1934

I ricordi dei miei primi anni riguardano più i luoghi delle persone. Una memoria vivida di terrazzini, di finestre da cui gettavo fuori ogni tipo di oggetto (anche i miei giocattoli più cari), di una soffitta dalla quale mi fu impedito di portar via un grosso Gesù Bambino che aveva un braccio solo.

Ore e ore a giocare con Stop, un bracco pesante, che aveva la testa come un vitello (dicevano). Lo vestivo e spogliavo, facevamo il trenino, lui con la mia sottana in bocca.

La mia passione per USCIRE si deve essere sviluppata anche perché mia madre per un anno fu costretta a letto e mi teneva accanto, questa non è una memoria mia, mi è stato riferito.

Mi sono sentita ripetere che fino da piccolissima chiunque fosse disposto a portarmi fuori mi trovava d’accordo. Con tutto questo BISOGNO DI USCIRE e avendo sorella e fratello che studiavano, mi è stato proposto ogni tipo di attività. A pochi villini di distanza mi accoglieva la Signorina Mori (alta, magra, vestita di nero, sempre ben pettinata). Da quando avevo due anni passavo da lei gran parte della giornata. Mi aiutò anche a saltare la prima elementare. Mi portò lei all’esame per entrare in seconda.

I ricordi dei miei primi anni riguardano più i luoghi delle persone. Una memoria vivida di terrazzini, di finestre da cui gettavo fuori ogni tipo di oggetto (anche i miei giocattoli più cari), di una soffitta dalla quale mi fu impedito di portar via un grosso Gesù Bambino che aveva un braccio solo.

Ore e ore a giocare con Stop, un bracco pesante, che aveva la testa come un vitello (dicevano). Lo vestivo e spogliavo, facevamo il trenino, lui con la mia sottana in bocca.

La mia passione per USCIRE si deve essere sviluppata anche perché mia madre per un anno fu costretta a letto e mi teneva accanto, questa non è una memoria mia, mi è stato riferito.

Mi sono sentita ripetere che fino da piccolissima chiunque fosse disposto a portarmi fuori mi trovava d’accordo. Con tutto questo BISOGNO DI USCIRE e avendo sorella e fratello che studiavano, mi è stato proposto ogni tipo di attività. A pochi villini di distanza mi accoglieva la Signorina Mori (alta, magra, vestita di nero, sempre ben pettinata). Da quando avevo due anni passavo da lei gran parte della giornata. Mi aiutò anche a saltare la prima elementare. Mi portò lei all’esame per entrare in seconda.

Le vere emozioni le ho provate camminando lontano dalla città con mio padre.

Abbandonavamo spesso strade e sentieri per entrare nei boschi, nei campi, nelle selve di biancospino. Una volta mi fece salire a lungo su per un campo molto esteso ed io ero quasi sommersa da una massa profumata di bianchi narcisi.

Ho scoperto, dopo tanti anni, che d’inverno o d’autunno mio babbo ci andava a caccia. La mattina della domenica spesso lo guardavo mentre preparava le sue cartucce. Copriva un grande tavolo con scatole, scatoline, pacchettini vari e bilancine.

Dovevo stare in silenzio perché non poteva essere distratto. Spesso con un attrezzo avvitato al tavolo mi permetteva di girare una manovella che serviva per chiudere ogni cartuccia già pronta. Per andare a caccia mio padre partiva presto quando dormivamo tutti ma al ritorno lo potevo ammirare. Era grande, con gli occhi azzurri e sereni, con una splendida giacca di velluto, portava tanti uccellini e ogni tanto una lepre o un fagiano.

Avevamo un girarrosto che girava a lungo con profumo di erbe. Ricordo di avere mangiato tanti minuscoli cervelli. Un volta un amico di mio fratello non sapeva come mangiare l’uccellino che aveva nel piatto. Rosso per l’imbarazzo si infilò intero nella bocca quell’esserino con becco, zampe e torace e poi non sapeva né buttarlo giù, né sputarlo.

I cacciatori durante quel periodo erano pochi perché gli uomini erano richiamati in guerra. Mio babbo era sempre benvenuto nelle campagne intorno a Firenze perché i contadini trovavano rovinati i loro raccolti dagli uccelli. Per lui a seconda della stagione, avevano sempre regali. Era fiero di sentirsi d’aiuto e non mangiava mai gli animali che portava a casa.

Mia mamma insegnava a ricamare a delle ragazzette. In genere erano figlie dei contadini o fattori della zona di Settignano. Spesso arrivavano con mazzi enormi di fiori di pesco oppure di lillà.

C’era il tempo dei “pungitopo” e dei “corbezzoli” o del biancospino e degli anemoni, degli iris che crescevano in lunghi filari in cima ai muri divisori delle varie proprietà. Portavano anche cestini di mandorle o di noci. Il territorio era tutto libero per i visitatori. Non c’erano recinti, reti, impedimenti nei tanti sentieri.

Quando Beatrice e Sibilla erano piccole se arrivavano le belle giornate primaverili, ricordando le passeggiate di un tempo, si andava per campi in cerca di anemoni.

Ancora le case coloniche avevano come residenti famiglie di contadini e i loro animali (oche, galline, conigli, tacchini, maiali, qualche asino, qualche bove) e si poteva entrare dentro i loro cortili indisturbate, anzi accolte con sorrisi e con i loro bambini contenti delle inaspettate compagne di gioco.

Gite nei boschi intorno a Settignano, fino al 1934, epoca in cui ci siamo trasferiti a Firenze.