Disegno preparatorio, particolare de Le quattro stagioni, il Vento.
In questo disegno preparatorio i numeri si riferiscono ai colori delle matassine di cotone della manifattura francese D.M.C. Foto ESP.

Dall’età di 14 anni ho disegnato per i ricami che venivano commissionati a mia madre.

All’inizio erano disegni di fiori o di animali, di figure (Palio di Siena e costumi tradizionali italiani).

In genere erano lavori che venivano commissionati da ricchi americani. Tanti sono stati realizzati da giovani ricamatrici a cui mia madre aveva insegnato un punto che, se ben eseguito, era di grande effetto. Mia madre lo chiamava “punto palestrina”. Con l’andar del tempo ho sviluppato il desiderio di scelte personali legate a specifici argomenti che mi interessavano. Ho cominciato a fare ricerche in librerie e biblioteche per eseguire dei cicli. Sono rimasta coinvolta da tante immagini legate al volgere delle stagioni, ai mesi dell’anno e ai gesti rappresentati.

Ho fatto una grande ricerca sull’iconografia dei segni astrologici e dei loro plurisignificati, trovando materiale fin dai tempi preromani. Le differenze di questi cicli dipendono dalle varie epoche e dai luoghi. Se sono a Nord hanno delle caratteristiche un po’ diverse dalle rappresentazioni eseguite in regioni più calde.

Frugando in queste immagini ho scoperto che i Romani presentavano l’agosto come mese della malattia invece noi lo consideriamo la nostra vacanza.

Piano piano ho scoperto cicli nei più diversi materiali: legno, avorio, vetro, marmo, pietra, tessiture. In tutta Europa venivano eseguiti arazzi, affreschi, incisioni, miniature.

Quando via via mi è stato possibile prendere decisioni ho preferito eseguire lavori complessi da incorniciare perché fosse valorizzato un così lungo e prezioso lavoro. Tra le mani tenevo per mesi e mesi un pezzo di seta o di organdis delicatissimo. Ricordo che preferivo lavorare sul letto matrimoniale perché il lavoro si manteneva più pulito. Lo potevo distendere liberamente, controllando continuamente come procedeva.

Fino a quando ho avuto delle lavoranti che eseguivano il ricamo è stato molto diverso. Preparavo i disegni che poi sarebbero stati, con un procedimento particolare, impressi sulla stoffa, una seconda fase era dipingere i cartoni indicando i numeri dei colori dei fili in seta o in cotone. Spesso venivano fatti degli errori da chi eseguiva il ricamo; con mia madre si stava a giornate a disfare. Via via che questi ricami procedevano aumentava l’ansia, la paura di fare un taglio, una macchia, qualcosa di irrimediabile. I volti ricamati dei personaggi ci lasciavano sempre insoddisfatte, ma da parte mia c’era un tale rispetto per il lavoro eseguito che non avevo il coraggio di intervenire con la pittura. La responsabilità di rovinare un lavoro eseguito da altri mi creava un’apprensione per cui non potevo usare i miei pennelli.

L’ago è una piccola spada che trapassa il tessuto per costruire un’immagine che prima non c’era.

L’ago è un arnese raffinato, sottile e pericoloso. Il filo che l’ago trascina è capriccioso.

Quando cominciavo ad essere stanca il filo si annodava da solo, portandomi a volte all’esasperazione.

Ho amato molto ciò che mi ha aiutato a realizzare ricami. Amavo le sete e le organze, sceglievo colori che mi piacevano. Inventai il modo di utilizzare strati sovrapposti, dividevo in due momenti e su due materiali il mio lavoro. Sul retro pitturavo la seta che poi veniva completata dal ricamo che avrei eseguito nello strato di organza, i due strati dovevano coincidere.

Tuttora amo carta, matite, pennelli e qualsiasi altro materiale che mi possa aiutare ad esprimere le mie emozioni.

Amavo le storie che decidevo di rappresentare.

Durante gli anni in cui mi sentivo libera di decidere tutto, le ore trascorse china su questi lavori avevano un ritmo magico.

Il tempo non contava. Tra le mie dita si piegavano aghi fino a diventare inservibili.

Vendemmia, ESP 1978, da una miniatura del Libro d’Ore Grimani

Il rapporto con gli altri, a lavori finiti, era complesso. Iniziava con la necessità di incorniciare questi lavori. Mi sono spesso arrabbiata fino a quando non ho incontrato il Franceschi di Via Toscanella. All’inizio lui era molto burbero, sembrava non volesse problemi. Poi decise di utilizzare un tavolo speciale: grande, imbottito, pulitissimo.

Da allora non c’era più il terrore di vedere rovinato il mio delicatissimo e lungo lavoro. Inoltre io apprezzavo certe rifiniture delle sue cornici a seconda del lavoro che doveva incorniciare. È stato un bel rapporto di reciproca stima ed è finito quando dovette lasciare un grande antro con colonne e un’atmosfera grandiosa. Molti di questi spazi di là d’Arno avevano il fascino di spazi medievali. Un po’ oscuri, un po’ magici, con uomini che mettevano attenzione e intelligenza nel loro operare.

Quando mi veniva proposta un’esposizione io accettavo solo spazi pubblici e prestigiosi. La necessità di guadagnare con il mio lavoro mi affaticava e mi creava problemi.

Decidere di smettere è stato per me un affrancamento.

Ho abbandonato tutta una serie di fatiche anche se spesso erano ripagate dall’entusiasmo con cui questi lavori venivano accolti e apprezzati.

Una delle ragioni che mi ha spinto ad abbandonare il ricamo è stata anche l’oppressione di pensare che stavo eseguendo un lavoro femminile.

Avevo necessità di sentirmi più libera, di affrontare altri materiali, altre tematiche.

Con il cambiamento ho acquistato una sensazione di leggerezza che mi era ignota.

C’è un testo dal Candide di Voltaire che ha seguito per alcuni anni il mio percorso, dall’esposizione Arcano e quotidiano all’Istituto Francese del 1985, da Iris alla Loggia Rucellai nel 1987, alla mostra L’Anello del tempo e i suoi simboli alla Syracuse University a Firenze fino alla Società Dante Alighieri a Losanna nel 1989.

Dice Candide <Il faut cultiver notre jardin>

Io, nel mio giardino,

ho trovato da coltivare

il ricamo di mia madre

l’esperienza pittorica

acquisita all’Accademia

di Belle Arti e l’attrazione

per l’iconografia medievale.

Con questi mezzi, ripropongo

ciò che amo e apprezzo del passato:

le attività dell’uomo non come dannazione

e fatica ma come compagne del nostro viaggio…

ESP

Giuoco del Polo, ESP 1989, particolare. Collezione Privata Principe Carlo d’Inghilterra
ricamo
Cacciatori con reti 1, ESP 1985, Collezione Privata Ronca Paganelli, Roma