
Penso di avere raramente lo scopo di cercare di essere felice: la felicità arriva inaspettata.Però posso procurarmi soddisfazione nel cercare, trovare, leggere, guardare, camminare. Mi piace lavorare serenamente, tenere tra le mani qualcosa che prima non c’era, avere una soluzione per un mio problema di tipo estetico. C’è il desiderio di seguire con il pensiero e poi con gli occhi un viaggio immaginario che si realizza con fili, segni, colori, accostamenti nuovi.Se provo a seguire il baluginio di un’idea, se arrivo a vedere un risultato dopo tentativi e dubbi provo già una sorta di soddisfazione che forse sa di felicità.Per contro mi sono arrabbiata solo se, nel mio lavoro, ho avuto importanti proposte e poi quando sembrava tutto organizzato, sono rimasta delusa. Sono amarezze, quasi ferite che rimangono dolenti nella memoria. Non sono state molte, forse solo tre.Ricordo New York, ero al Centro di Cultura Italiano in visita con Anne Bahrenburg Barbetti, nel 1985. Una bellissima sede e la proposta di appendere quaranta quadri. Una grande festa di inaugurazione. “Tutta la New York che conta!” mi promisero.
Stava a me trovare uno sponsor per la spedizione e il ritorno dei quadri. Gaynor, una mia grande amica londinese, mi propose, a sorpresa, l’aiuto del suo ex marito che pensava di presentare a New York una sua agenzia di assicurazione. Persi circa 5-6 mesi con gravi problemi per la salute di mia madre. Mi sentivo sicura che sarebbe arrivato il tempo di occuparmi di questa esposizione, ma trascorsero troppi giorni. Quando fu il momento di riprendere i contatti, la situazione era completamente mutata. Il Centro di Cultura Italiano aveva un nuovo direttore e l’ex marito di Gaynor si era organizzato in altro modo.L’altra delusione accadde a Roma nel settembre 1987. Avevo conosciuto la direttrice del Museo del Folklore in Trastevere, la dott.ssa Renata Falco.
Mi propose di partecipare ad una Mostra Guardando al Medioevo alla riscoperta del passato presente, sponsorizzata da industriali giapponesi, che si sarebbe svolta in otto prestigiosi spazi di Roma. Era stato preparato e stampato un costosissimo ed interessante programma. Mi fecero scegliere quali stanze avrei preferito a Castel Sant’Angelo. Scelsi le sale affrescate con unicorni (mi pare le sale di Leone X).
Passò del tempo ed io ero in tranquilla attesa: passò altro tempo e il loro silenzio cominciò a preoccuparmi. Poi fu chiaro che i loro accordi avevano subito un irrimediabile contrasto.
La terza delusione l’ho sofferta alla Biblioteca Nazionale di Firenze, eravamo sette artisti che avrebbero dovuto allestire una stanza per ciascuno nell’antico sottosuolo. Ambienti un po’ degradati ma molto interessanti per tutti noi. Fissato tutto, titolo e data, quando con una telefonata ci fu detto che stavano arrivando da Roma per il riassetto dei locali.
Non mi sono mai arrabbiata perché mi mancava il tempo, ho solo sofferto carenze di spazio. In questi tre casi mi erano stati proposti magnifici spazi che poi mi sono stati negati.
Ho sentito il bisogno di eseguire qualcosa che mettesse di fronte ai nostri occhi il contrasto tra le donne occidentali che spesso vengono esibite nelle loro più appetitose nudità per soddisfare i desideri o le fantasie maschili e le donne che vengono coperte in modo da togliere loro la vista, il respiro, il libero movimento: tutto perché la loro vita dipende dal padre o dal marito e solo in casa propria acquistano una certa umanità e non sono più “fagotti”.




Le foto in alto sono scattate al “Libro in piedi” ESP 1999, presentato nell’aprile 2004 alle Oblate per l’esposizione Covare sassi, organizzato per me da Mara Baronti al Giardino dei Ciliegi.
Foto tratte dal “Libro da sfogliare” Ritratti di donne, ESP 2002-2003.