Per lo più sono alla ricerca di materiali nuovi o di stupirmi per le venature di un legno o di una foglia: vorrei trovare modi per attrarre anche l’attenzione di altri. Il maggior godimento avviene per me da scoperte di oggetti molto semplici che sfuggono al nostro apprezzamento perché di modeste dimensioni o troppo visti. L’attenzione mi porta a riconoscere la bellezza nei colori, nelle luci, in ogni oggetto. Spesso trovo ammirevoli cose che gli altri gettano via, per esempio involucri di plastica con forme nuove e complesse.

Ho sempre la speranza di poter usare la semplicità rendendola preziosa.

Per contro se attraverso il Ponte Vecchio, l’ostentazione delle proposte mi infastidisce. Anche il perfezionismo mi urta.

Vedo, per esempio, che un pezzetto di ortaggio acquista un aspetto interessante mostrando nervature, trasparenze, curve e strani suggerimenti prima di essere completamente rinsecchito, qualche volta più è secco più diventa attraente il suo colore, la sua fragilità. A proposito di questo uno dei primi lavori che ho eseguito per mesi, dopo aver abbandonato il ricamo, fu Esercizi su la fragilità.

Sfruttai la infinita varietà della natura. Per esempio cucendo su cartoni scuri foglie di splendide forme e di colori che mutavano con il passare del tempo. Nel 1999 eseguii due abiti per il Sole e per la Luna a grandezza umana da appendere in alto e li mostrai in un’esposizione sui 5 sensi Mangiare sassi. Alessandra Borsetti Venier mi dette tutti gli spazi della Barbagianna, quest’ultimo nome era in linea con i miei gusti e necessità interiori. Si arrivava attraverso un bosco, una lunga salita per trovare solitudine, bellezza e una natura incontaminata. Ricordo un ritorno di notte, un buio assoluto in cui i piedi dovevano trovare il misterioso sentiero da percorrere. Poi la sorpresa di tante luci in movimento, le lucciole, uno spettacolo dimenticato.

La plastica mi ammalia: le forme che può prendere mi rendono quasi impossibile gettarla.

Sempre ho la speranza e talvolta è così, che mi possa essere suggerito un assemblaggio, un uso nuovo. Avrei necessità di più tempo e di qualcuno che dandomi fiducia mi proponesse qualche progetto per cui io potrei ancora entusiasmarmi e organizzare qualche sorpresa.

Il pensiero detta il titolo di ognuno dei miei “Libri in piedi”. Nel realizzarli la materia impone i limiti.

2 lettori
n°2 lettori rivolti a sinistra

I titoli sono più significanti e più leggeri. Dentro al titolo c’è l’idea di quello che sarò capace di fare. Per essere soddisfatta il mio lavoro dovrà superare la speranza. Dovrà meravigliarmi. In questo momento, luglio 2013, ho affrontato il “Libro in piediMare d’inverno. È il mare che amo.

L’ideale è il mare freddo, violento, bianco, grigio, con tenui sfumature, prima e dopo la burrasca. Un mare di solitudine dove una barca lontana, un uomo con un cane, Pierangelo ed io ci stiamo muovendo in silenzio.

Dovrebbe essere un libro che rappresenta la lunghezza della spiaggia percorsa e da percorrere.

Una forte burrasca ha modificato l’arenile. L’occhio dovrà saltare da un’immagine all’altra e si potrà tornare indietro e muovere di nuovo la testa come una ginnastica della memoria.