Esercizi su la fragilità N. 29, ESP 1994-1996. Foto ESP.

Nel 1995 ho avuto l’esigenza di chiudere con l’attività precedente e disporre il mio successivo lavoro in libertà, affrontando quello che sempre mi aveva interessato.

Con la pubblicazione del mio libro Esprimere il tempo ho presentato parte della mia attività legata al ricamo.

Il libro è stato fermo per un anno nella sede della Banca Toscana. Mi avevano detto che erano interessati a stamparlo, ma poi non è andata così e mi sono messa d’accordo nel 1996 con l’editore Alessandra Borsetti Venier e il tipografo Gambi. La Banca Toscana ha dato un contributo.

Dopo aver stampato questo libro che ho presentato in diverse sedi, anche a Roma e Milano, con molto successo, ho deciso che mi sarei occupata di quello che fin da giovane mi aveva attirato. Fino a quel momento avevo potuto seguire l’arte contemporanea in esposizioni e comprando libri e cataloghi. Ero stata obbligata a tenere dentro il desiderio di esprimere come si era evoluto il mio pensiero.

La libertà di volgere l’attenzione alle idee che prendono forza, cercare di assecondare il desiderio di realizzare ciò che via via si forma e preme per essere espresso costituisce un lusso.

Per me è importante, usando testa, occhi e mani, comporre opere che non devono avere altri scopi se non suscitare la sensazione che non potevo fare di meglio.

L’apprezzamento di altri se c’è è bene, altrimenti io ho già raggiunto una meta e posso passare ad occuparmi di un altro progetto.

Tutto questo deve essere basato su studio, attenzione, convinzione personale e tranquillità.

Nel mio atteggiamento c’è forte anche l’idea che questa possibilità di dare rilievo alla bellezza, che io riscontro anche nelle cose più semplici come la nervatura di una fogliolina, possa costituire un’apertura d’interesse e di gioia anche in coloro che pensano ci si debba rivolgere a ben altro per apprezzare la vita.

“Ho conosciuto Elena Salvini Pierallini nel 1996 quando venne a cercarmi alla casa editrice per pubblicare il libro Esprimere il tempo con ago e pennello. Credo di essermi avvicinata molto sia a lei che al suo modo di intendere l’arte in un primo momento proprio attraverso l’analisi del materiale che poi è stato pubblicato e che comprende opere di pittura e ricamo caratterizzate dal tema dell’attività dell’uomo legate al ritmo del tempo e delle stagioni.

Mi fa piacere inserire il testo di un intervento di Alessandra Borsetti Venier, in occasione della mia mostra Il filo dei saperi, Ridotto del Teatro del Popolo, Castelfiorentino, 3 giugno 2000.

Ho scoperto grazie a lei un modo espressivo antico eppure nuovo al tempo stesso, perché è riuscita a portare a dignità dell’arte il ricamo elevandolo dal limite dell’arte applicata.

Ma Elena non si può identificare ormai più solo con i pur magnifici quadri di pittura d’ago perché lei si anima di continue azioni e ogni incontro risulta una sorpresa: quale spunto nuovo l’avrà ispirata questa volta, quale ricerca si sarà trasformata in una nuova opera, quale percorso avrà preso i connotati di una nuova sostanza da plasmare?

Il suo fare riporta al fare delle botteghe artigiane, scandito da un altro tempo, da altre regole, quel fare vero che non produce opere intellettualistiche svuotate di sostanza, desolate, così frequenti nell’arte contemporanea da sembrare indifferenti fino a se stesse. D’altronde il suo fare non è neppure l’elogio all’abilità manuale portato al limite del perfezionismo tant’è vero che non la interessa l’ammirazione per l’abilità del ricamare, parlando dei suoi quadri di pittura e ricamo, perché la tecnica, il mestiere sono il tutt’uno con l’idea ispiratrice insieme alle forze dell’inconscio e della casualità, fino alla maturazione pratica della resa formale.

E tutto questo incessante proliferare avviene nell’incalzare delle necessità, nello svolgimento delle incombenze quotidiane.

In una realtà sempre più immiserita, quasi privata di significati, resa sempre più desolante dall’inespressività virtuale, Elena sa che non è infruttuoso cercare, quindi essere attenta, sempre e ovunque, a scoprire indizi, premonizioni, insegnamenti proprio negli eventi quotidiani anche più banali, in apparenza i più insignificanti.

Così da anni raccoglie: oggetti, i più diversi, raccoglie immagini assemblandole per tematiche, sempre in cerca di “tesori” ma anche trovata, lei stessa, da quegli stessi tesori. È proprio nel dinamico amalgama di trovare e trovarsi che si origina quel phatos che dà quotidianamente poesia alla esistenza quotidiana e permette all’artista di plasmare nuovi contenuti in nuove forme, trasfigurando la realtà.

Ha scritto Marcuse nella Dimensione Estetica: “L’intensificazione della percezione può arrivare a distorcere le cose al punto che l’ineffabile venga pronunziato, l’invisibile visto e l’intollerabile esplode. La trasfigurazione estetica si muta così in denuncia ma anche in esaltazione di quanto resiste all’ingiustizia e al terrore, e di ciò che si può ancora salvare”.

In Elena riconosco questo tentativo di contrastare la forza soverchiante e brutale della quotidianità, come nel suo assumere linguaggi espressivi e forme di rappresentazione apparentemente anacronistiche, perché così antiche come il ricamo; sento anche forte il desiderio di controbattere la tendenza alla dilagante distrazione della superficialità, sempre in cerca del piacere che deriva dal miracolo di un incontro, dalla capacità di comunicare, dall’intensificazione della percezione che riesce perfino a trasfigurare gli oggetti. Così nelle sue opere ci mostra un mondo infinitamente più ricco, più intenso, nel quale gli uomini, le cose, la natura sono strappate alle loro naturali apparenze. E allora ci si accorge che si tratta di un mondo dimenticato o sconosciuto centrato sull’UOMO e le sue attività archetipiche, visto con la capacità e la sapienza di saper cogliere i più diversi linguaggi dell’essere in armonia con i ritmi della NATURA. E insieme permette a noi di ampliare la nostra percezione, la nostra immaginazione, la nostra ragione… di ampliare i nostri confini.”