
Negli anni 1942-1943 quasi ogni giorno la periferia di Firenze veniva bombardata: la nostra casa non era lontana dalla ferrovia. Quando suonava l’allarme uscivamo dalle case per rifugiarsi tra le vigne di Via Centostelle, proprio dove sono state costruite tante case.
Fu deciso di accogliere l’ospitalità dello zio Giovanni, il fratello del babbo a Settignano.
Così ci trovammo a trascorrere più di un anno a Villa Stella, quasi in cima a Via della Capponcina.
Da Settignano si udiva il rombo degli aerei che si avvicinavano a Firenze. Poco dopo si vedevano le bombe brillare cadendo.
I miei si chiedevano cosa potesse essere accaduto alla nostra casa: ogni tanto il babbo andava a controllare.
C’era una piccola comunità che si ritrovava a chiacchierare e a lavorare, portando ogni volta le sedie da casa, nel giardinetto pieno di fiori prospiciente la Villa. Oltre le aiuole si saliva con pochi scalini ad una grande terrazza quadrata. Da un lato c’era un pozzo da cui si tirava su l’acqua con un secchio. Per bere si doveva scendere per una strada ripida con le mezzine di rame, fino ad una fontana al “Pianerottolo”.
Con una larga scala si poteva scendere nel regno dello zio Giovanni. Un sentiero grande in discesa con piante di rose ai lati portava fino ad una rotonda con tavola di pietra, panchine e intorno rampicanti con roselline gialle che d’estate facevano ombra. Ho trascorso lì tante ore in solitudine giocando con una decina di bamboline grandi come le dita.
Il giardino aveva tanti alberi: cipressi, olivi, peschi, nespoli, fichi di varie qualità.

Ricevevo, quasi ogni giorno, la visita di Franco e Carlo che abitavano vicini. Uno era il figlio del cugino del babbo e l’altro era il figlio della cugina della mamma. Il nostro tempo lo passavamo generalmente sugli olivi. Eravamo Giove, Marte e io Apollo: le formiche erano l’umanità che si dava molto da fare sul terreno e dipendevano da noi. Ci lasciavano molto liberi e spesso si correva per i sentieri dell’orto dello zio (che era adiacente).
Lì piantava patate, fagioli, baccelli, insalate, cipolle, agli, tutto quello che serviva in casa e la zia Maria aveva da accudire polli e conigli. Ho un bel ricordo di quei polli che col tempo non stavano più nel pollaio e la sera si ritiravano sui rami di un grande albero. Polli come grandi fiori, quattro o cinque per ramo fino alla cima. Il periodo trascorso a Settignano lo ricordo con emozione.
La zia Maria, se pioveva, mi permetteva di estrarre dai cassetti i suoi Santini ed io li appoggiavo sul letto matrimoniale: li disponevo per colore o per caratteristiche che ora non ricordo.
Mi piaceva anche salire la scala che portava alla Colombaia, sugli scalini lungo il muro c’erano dei pastori grandi, dei mulini e altri pezzi di Presepe. La zia Maria aveva anche delle campane di vetro che contenevano una variegata abbondanza di conchiglie, farfalle, fiori secchi, vetri colorati e qualche immagine sacra sommersa.
Frequentai in quel periodo la quinta elementare e ricordo solo “Teglia” il nome della maestra.
Andavo anche a suonare il violino da “zia Giulia” che stava in piazza all’angolo della strada che poi i tedeschi fecero saltare per impedire a inglesi e americani di inseguirli con mezzi rapidi.
La filovia saliva a Settignano ed era il mezzo degli sfollati. Mia sorella quasi ogni giorno frequentava all’Università i corsi di Matematica e Fisica. Era una bella ragazza bruna con gli occhi azzurri e ci faceva ridere raccontando episodi che la riguardavano. Mio fratello, che aveva meno di 20 anni, in quel periodo era militare.
